mercoledì 19 maggio 2010

Google alla sbarra!

Ciao a tutti! Eccoci al consueto appuntamento con i 'compiti a casa' affidatici dal prof. Alfonso per tenerci vivi e svegli sui nostri blog. Argomento di questa settimana è Google. Cos'è? Cosa fa? Cosa vuole ottenere? Ma soprattutto, rispetta le regole del gioco?

L'informazione su Internet, lo abbiamo già detto, è vastissima principalmente perché ripetuta allo stesso modo fino alla nausea. Ho deciso quindi, in questo mio post, di non concentrarmi sull'argomento generale (di cui potrete trovare un ampio svolgimento nel blog di Alessandro), bensì di fare un approfondimento dell'approfondimento, parlandovi degli ultimi sviluppi inerenti alla materia che stiamo trattando: Google vs Privacy!

Come segnalato ieri da Fiorenza, infatti, il colosso americano è finito nell'occhio del ciclone, in seguito alla raccolta di informazioni ricavate da reti wireless non protette dalla sua flotta di auto (incaricata di fotografare le strade in giro per il mondo per alimentare il suo servizio Street View) in ben 30 stati del mondo. La stessa società statunitense, davanti alle autorità tedesche, ha ammesso la propria violazione, specificando tuttavia come essa fosse "involontaria" e come i dati non fossero stati visionati o utilizzati e fossero destinati ad una rapida cancellazione.

E' notizia di oggi che anche il Garante italiano per la privacy ha avviato un’istruttoria nei confronti di Google, per verificare la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito del servizio Street View. Il procedimento è stato aperto in merito alla raccolta effettuata dalla società sul territorio italiano che, secondo quanto ammesso dalla stessa Google Italia, ha riguardato, oltre che immagini e dati relativi alla presenza di reti wireless e di apparati di rete radiomobile, anche frammenti di comunicazioni elettroniche, eventualmente trasmesse dagli utenti su reti wireless non protette. Riguardo a quest’ultima tipologia di dati, il Garante ha invitato la società a sospendere qualsiasi trattamento fino a diversa direttiva. Insomma, stesso reato stessa giustificazione.

Con particolare riferimento a tutti i dati eventualmente captati dalle Google cars, l’azienda americana dovrà comunicare al Garante la data di inizio della raccolta delle informazioni, per quali finalità e con quali modalità essa è stata realizzata, per quanto tempo e in quali banche dati queste informazioni sono conservate. Google dovrà chiarire, inoltre, l’eventuale impiego di apparecchiature o software ‘ad hoc’ per la raccolta di dati sulle reti wi-fi e sugli apparati di telefonia mobile. Dovrà comunicare, infine, se i dati raccolti siano accessibili a terzi e con quali modalità, o se siano stati ceduti.

“Meglio tardi che mai”, è stato il commento dei pm milanesi Alfredo Robledo e Francesco Caiani (i magistrati che hanno chiesto e ottenuto la condanna a sei mesi di reclusione per violazione della privacy di quattro dirigenti di Google, in riferimento all’inserimento sul web del video choc di un ragazzo autistico vessato da alcuni suoi compagni di una scuola di Torino nel 2006) alla notizia odierna. “Il Garante aveva preannunciato già nel 2008 regole chiare, dicendo che non sarebbe stato possibile riprodurre le immagini di volti e targhe. Ha impiegato due anni per aprire un’istruttoria che andava aperta subito”.

In realtà già il 20 aprile il garante italiano e altre autorità di protezione dei dati, in rappresentanza di oltre 375 milioni di persone, avevano chiesto a Google Inc. e ad altre multinazionali un rigoroso rispetto delle leggi sulla privacy in vigore nei paesi in cui immettono nuovi prodotti on line. Nella lettera, firmata dai presidenti delle autorità di protezione dati di Italia, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Israele, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna e Gran Bretagna, si esprimeva ''profonda preoccupazione per il modo in cui Google affronta le questioni legate alla privacy, in particolare per quanto riguarda il recente lancio del social network Google Buzz''.

"Troppo spesso - hanno scritto - il diritto alla privacy dei cittadini finisce nel dimenticatoio quando Google lancia nuove applicazioni tecnologiche. Siamo rimasti profondamente turbati dalla recente introduzione dell'applicazione di social networking Google Buzz, che ha purtroppo evidenziato una grave mancanza di riguardo per regole e norme fondamentali in materia di privacy. Inoltre, questa non è la prima volta che Google non tiene in adeguata considerazione la tutela della privacy quando lancia nuovi servizi".

Le dieci Autorità di protezione dei dati sottolineano, inoltre, che i problemi di privacy legati al lancio di Google Buzz avrebbero dovuto essere "immediatamente evidenti" alla stessa azienda. Infatti, "attraverso Google Buzz, Google mail (o Gmail), nato come un servizio di posta elettronica one-to-one tra privati, è stato improvvisamente 'trasformato' in social network. Questo è avvenuto perché, in modo del tutto autonomo, Google ha assegnato ad ogni utente di Google Buzz una rete di 'amici' (followers) ricavati dalle persone con cui l'utente risultava comunicare più spesso attraverso Gmail. Ciò senza informare adeguatamente gli interessati di quanto si stava facendo e senza specificare le caratteristiche del nuovo servizio, impedendo in questo modo agli utenti di esprimere un consenso preventivo e informato".

Con questo comportamento "è stato violato un principio fondamentale e riconosciuto a livello mondiale in materia di privacy: ossia, che spetta alle persone controllare l'uso dei propri dati personali".

Le autorità riconoscono che Google non è l'unica società ad avere introdotto servizi online senza prevedere tutele adeguate per gli utenti. Tuttavia, sollecitano Google a dare l'esempio, "in quanto leader nel mondo online", incorporando meccanismi a garanzia della privacy direttamente in fase di progettazione di nuovi servizi on line. La lettera si chiudeva con la richiesta a Google di spiegare come intenda assicurare che in futuro le norme in materia di protezione dati vengano rispettate prima del lancio di nuovi prodotti.

Come possiamo vedere il problema è estremamente attuale: vogliamo davvero vivere in un mondo in cui, in cambio di servizi utili e gratuiti (?), ognuno di noi può essere identificato, rintracciato, monitorato, defraudato? A noi posteri l'ardua sentenza...

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